
“Eravamo un manipolo di poeti. Volevamo portare la poesia fuori dalle aule di scuola e dai salotti letterari; fra la gente, nel tumulto della vita. Abbiamo recitato
i nostri versi a voce alta, in piedi. Abbiamo mescolato la poesia con il teatro, con la performance, con il cabaret. Poi la cosa ci è sfuggita di mano.”
Cosa succede alla poesia quando sfugge di mano ai poeti?
Quando invade Facebook e Instagram? Quando si mescola agli aforismi dei Baci Perugina? Nel suo nuovo libro di poesie (brutte), Paolo Agrati è andato a vedere in cosa si trasforma la poesia quando diventa parodia di se stessa. Schiacciando
a tavoletta il pedale dell’acceleratore, il sommo poeta brianzolo ha affinato l’arte di scrivere poesie brutte fino alla maestria, fino a raggiungere livelli di bruttezza per cui occorre talento; livelli di idiozia per cui occorre intelligenza. Un po’ come in certe illustrazioni di Escher, dove la magia nasce da un minuzioso errore
di prospettiva, Agrati ha creato un corto circuito poetico dove il pavimento
si fa soffitto e l’acqua percorre la salita. Dove è la poesia, ancora una volta,
a indicare la retta via.
Dalla prefazione di Roberto Mercadini, narratore teatrale e poeta.
Illustrazione di copertina e disegni interni di Alessandro Bonaccorsi,
ideatore del Corso di Disegno Brutto.
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