Poesie brutte

“Eravamo un manipolo di poeti. Volevamo portare la poesia fuori dalle aule di scuola e dai salotti letterari; fra la gente, nel tumulto della vita. Abbiamo recitato i nostri versi a voce alta, in piedi. Abbiamo mescolato la poesia con il teatro, con la performance, con il cabaret. Poi la cosa ci è sfuggita di mano.”
Cosa succede alla poesia quando sfugge di mano ai poeti? Quando invade Facebook e Instagram? Quando si mescola agli aforismi dei Baci Perugina? Nel suo nuovo libro di poesie (brutte), Paolo Agrati è andato a vedere in cosa si trasforma la poesia quando diventa parodia di se stessa. Schiacciando a tavoletta il pedale dell’acceleratore, il sommo poeta brianzolo ha affinato l’arte di scrivere poesie brutte fino alla maestria, fino a raggiungere livelli di bruttezza per cui occorre talento; livelli di idiozia per cui occorre intelligenza. Un po’ come in certe illustrazioni di Escher, dove la magia nasce da un minuzioso errore di prospettiva, Agrati ha creato un corto circuito poetico dove il pavimento si fa soffitto e l’acqua percorre la salita.Dove è la poesia, ancora una volta, a indicare la retta via.
Dalla prefazione di Roberto Mercadini, narratore teatrale e poeta.
Illustrazione di copertina e disegni interni di Alessandro Bonaccorsi, ideatore del Corso di Disegno Brutto.
Partiture per un addio

Partiture per un addio nasce dall’esigenza di affrontare la morte, l’ultimo tabù rimasto a questa società. Il suicidio porta alla morte senza scuse, perché non c’è modo più diretto se non quello di razionalizzare il potere che abbiamo sulla nostra esistenza. In ciascuna poesia di questo libro, qualcuno racconta se stesso come uno strumento musicale che suona la partitura della propria vita, della propria fine. Ogni suicidio dice qualcosa di differente, svela una debolezza o una forza o un mondo a sé. Ogni suicida è uno strumento che suona una sinfonia più ampia. Leggere queste poesie vuol dire farle suonare. Farle suonare vuol dire farle vivere.
Le musiche composte da Simone Pirovano rendono questo libro anche un disco e creano dei non luoghi che dipingono l’universo di ogni personaggio. L’universo nascosto che ognuno di noi si porta dentro.
Amore & psycho
C’è questo fatto che io Paolo Agrati lo odio.
(…)Lo odio, ma in amicizia. Io riesco a odiare in amicizia. È un mio super potere. Ora vi spiego: In Italia ci sono pochissimi poeti bravi viventi, d’ora in poi PBV. Secondo me si contano sulle dita di un paio di mani di un addetto alla pressa molto distratto, se capite cosa intendo. Paolo Agrati è uno di questi, dunque funziona che se riesco a farlo assassinare dalla mia équipe di killer di PBV, insieme agli altri pochi poeti bravi, io rimango il solo PBV in Italia, che poi è il mio vero fine ultimo nella vita anche se, a oggi, non riesco a capirne l’utilità. Paolo Agrati è capace di fare una cosa che trovo fondamentale: salire su un palco e leggere le sue poesie. E lo fa bene. Poi Paolo si pettina di nascosto. (…)So anche che Agrati sa che «per fare l’amore bisogna sapersi spogliare» e che «la carezza è il modo migliore di usare le mani». Vedete, queste cose le sapevo anche io, ma lui le ha dette prima, il che mi fa incazzare a bestia ed è per questo che probabilmente, alla fine, lo farò uccidere.
dalla prefazione di Guido Catalano
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Nessuno ripara la rotta
Ecco “Nessuno ripara la rotta” (splendido novenario), seconda e convincente prova di un autore polivalente e complesso per formazione e personalità.(…) emerge l’idea di una precisa poetica, fatta di rammendi e cure: un mastice, dissacrante e liberatorio, come nella migliore tradizione dello slam poetry, che vede in Agrati una delle voci più convincenti, istrioniche e accattivanti del panorama italiano, e, nel contempo, vulnus, scossa tellurica profonda e incisiva, quando il poeta tralascia idealmente l’oralità per destinare il luogo della comunicazione alla matrice scritta della poesia (ma nell’autore le due anime sussistono, si intersecano in una splendida sintesi, completata dall’esperienza musicale di voce nella Spleen orchestra, nel suono della tromba). (…) È un’odissea, quella di Agrati, che abbraccia luoghi in un viaggio fisico e, nel contempo, metafisico, tutto mentale.(…)
Il poeta, però, ben si tiene lontano dal rischio del solipsismo, di bolla lirica dell’Io, spostando il piano narrativo sulla dimensione ironica, spesso deformante, comunque liberatoria (…) e cerca il contatto con ogni aspetto della realtà vivente, anche nei punti più bassi, di deiezione nel mondo senza alcun progetto.
Anzi è il rovescio del mondo, ciò che interessa Agrati (…)un Autore che restituisce segni di un pensiero forte, quello di una dirompente uscita “dal graffio delle cose” e che sedimenta il fare poetico in un linguaggio polisemico che è, necessariamente, ricerca inesausta d’amore. Oltre qualsiasi banalità.
dalla prefazione di Ivan Fedeli
Quando l’estate crepa
“Quando l’estate crepa”: la raccolta di Paolo Agrati presenta già dal titolo un carattere fortemente evocativo. Innanzitutto fissa l’Evento in un momento indefinito, non immediatamente collocato nel passato, ma piuttosto a un tempo assoluto, o a una condizione di partenza. E sospende l’eventuale riferimento della frase principale: sarà – se mai – chi legge a ridefinire il quadro, a incasellare sensazioni e avvenimenti. C’è poi tutto il calore di una estate torrida, il riferimento a una passione presa nella sua stagione risolutiva. E quindi, nell’uso polisemantico del termine “crepa”, prima persona del verbo crepare, come estinguersi, morire, e associazione con il sostantivo che indica separazione e rottura dovuta anche a inaridimento. E dalla crepa alle macerie il passo è breve; macerie che si accumulano e ricadono l’una sull’altra, a fondare un ammasso che è paradossale costruzione di uno stato d’animo, di un monumento informe, di una memoria che incombe e pesa.(…)
La tematica della raccolta è ricorrente nella poesia erotico/amorosa di tutti i tempi, da Catullo a Bukowski: la memoria di Eros, la perdita, la inevitabile transitorietà della passione. Ma qui è espressa in modo sorprendente e anticonvenzionale, innanzitutto per la immediatezza e la verità dei riferimenti al corpo, ma anche per l’intervento di personaggi secondari o ambientazioni impreviste, in incipit spesso spiazzanti: (…) E l’architettura del testo ha poi angoli e pareti insolite, con cambi del punto di vista,
accelerazioni e ritorni al Soggetto. Con spinte liriche che si alternano a momenti di linguaggio “basso” o parlato. (…)
Non è nella fuga da se, ma dal ritornare a se che si svolge il viaggio, e i versi finali della raccolta sono una riapertura, verso la vita che sorprende di nuovo.
dalla prefazione di Luigi Cannillo